Pumori - 7.161 mt.

L’idea di questa spedizione nasce dalla necessità di un allenamento specifico per spezzare il lungo periodo di lontananza dall’alta quota…infatti l’ultima volta al di sopra dei 5000 metri risale ad un anno e mezzo fa. Una sorta di richiamo per i meccanismi adattivi alla mancanza di ossigeno in vista di un progetto ben più ambizioso che spero veda la luce nel prossimo anno. Il fatto che lo consideri un allenamento mi scarica dalla responsabilità del risultato. Continuo a ripetermi che non mi importerà se non raggiungerò la vetta proprio perché il mio obiettivo è un allenamento in alta quota in vista di un fine più importante. In realtà una volta messo in atto, un progetto, secondario o meno, assume vita e dignità e nonostante l’apparente disinteresse, una volta sul campo la prospettiva viene completamente ribaltata. Di questo ho avuto prova proprio in questa spedizione. Infatti dopo aver lavorato sul Pumori per allestire c1 ed aver contribuito ad attrezzare, con le corde fisse, fino a c2, i 5 Sloveni che insieme a me componevano il team di salita, hanno deciso che la via era decisamente troppo pericolosa. Ci sono state due giornate di intense trattative telefoniche col referente dell’agenzia a Kathmandù, per capire i costi di far giungere al campo base altri 700 metri di corde in tempi rapidi, per finire di attrezzare la via fino a c3. Discussioni tra noi per capire quante fossero le nostre possibilità di completare tutto il lavoro di preparazione nei giorni di spedizione che ci rimanevano e la voglia di ognuno di impegnarsi ancora. Alla fine loro decidono che i rischi sono esagerati ed abbandonano il campo base e la spedizione. Io rimasto solo decido di salire comunque al c2 insieme a Pemba per valutare ancora la situazione. Così, la mattina del 16 novembre, mentre gli sloveni lasciano il campo, noi saliamo al c1 con tutta l’attrezzatura. Dormiamo nella tenda che avevamo ancora lasciato montata e l’indomani ci incamminiamo verso c2. Lasciato il c1 si prosegue in salita per sfasciumi e massi fino a raggiungere la base di un grosso canale dove inizia a vedersi anche un poco di ghiaccio. Siamo pressappoco a 6000 mt. Il canale ha un fronte di circa 70 mt ed effettivamente fin da subito vediamo intorno a noi frequenti scariche di pietre e ghiaccio. Dopo qualche ora siamo alla fine delle corde, al c2. Capiamo che fare in due il lavoro che nello stesso tempo si sarebbe dovuto compiere in sette non è possibile…dobbiamo abbandonare la spedizione anche noi. La delusione prende spazio allargandosi nel cuore come una macchia d’olio che lenta ma inesorabile espande i suoi confini. In quel momento ho capito che non volevo “perdere”, non era affatto vero ciò che da mesi mi andavo ripetendo…”non mi importa il risultato, è solo un allenamento…”. Tutte palle, mi interessava eccome ed ora che dovevo lasciare il campo sentivo la ferita bruciare. Decido che se non posso salire il Pumori, posso provare a cambiare obiettivo e chiedo di sondare la possibilità di ottenere un permesso di salita per un’altra montagna nel giro di pochi giorni. Non è facile resettare il cervello e buttarsi con rinnovato entusiasmo ed energia in una nuova avventura, ma riesco a non pensarci ed in ogni caso serve per addolcire la delusione. Finalmente l’indomani, mentre sono già in marcia sulla via del rientro, mi viene comunicato che ci sarebbe la possibilità di unirmi alla spedizione sull’Ama Dablam, la “Madre con la Collana”. E’ una montagna simbolo in Himalaya quanto lo è il Cervino per le Alpi Italiane. E’ una via tecnica, non semplice ma in compenso con bassi rischi oggettivi (frane, slavine, crepacci etc). Il suo nome mi frulla per la testa da diversi anni ed ora ho l’occasione giusta. Mancano ancora 10 giorni prima del rientro e decido di provare. Dal campo base del Pumori a quello dell’Ama Dablam ci sono due giorni di cammino. Potrei forzare il ritmo ed arrivare in giornata ma non ho fretta infatti il permesso di salita mi verrà dato solo fra alcuni giorni a causa di alcune festività che al momento tengono gli uffici chiusi. Arrivo al nuovo campo base da solo. Pemba che dovrebbe essere con me, sta accompagnando gli sloveni a Lukla perché rientrano a casa, poi tornerà indietro al campo. Qui incontro Rami con la compagna (unici ospiti del campo fino a quel momento). Rami è un giovane trentenne Libanese, molto simpatico e cordiale con il quale quasi immediatamente si stabilisce un buon feeling. Al campo nei prossimi giorni sono attesi altri 4 italiani fra i quali anche Luciano, un amico bergamasco conosciuto l’anno scorso al cb Everest. La cosa mi fa enormemente piacere perché finalmente potrò parlare italiano ed anche perché con Luciano ho un’ottima intesa. Nell’attesa del permesso di salita posso prendermi un paio di giorni di riposo anche perché non mi sento benissimo. Mi sento stanco e accuso qualche problema alimentare che come al solito mi impedisce di nutrirmi come sarebbe necessario. Rispetto alla prima parte della spedizione sento di aver perso un poco di energie, mi sento più debole ed inizio ad accusare qualche sintomo intestinale che mi spaventa non poco… mi riporta alla memoria i 20 giorni di calvario vissuti l’anno scorso sull’Everest. Dopo due giorni di relax decido di fare una salita verso c1. E’ collocato su un pendio roccioso che costituisce un contrafforte della cresta Sud-Ovest a circa 5800mt di quota. Il sentiero che parte dal campo base percorre, con un lunghissimo sali-scendi, il dorso di una serie di colline fino alla base di un ripido pendio composto di massi e sfasciumi attrezzato con delle corde fisse nella parte finale. Pendio che richiede notevole impegno, specie se si è carichi, perché si procede di masso in masso non sempre molto stabili. Arrivo poco sotto il campo e torno indietro. Il mio acclimatamento dovrebbe essere completo e non voglio affaticarmi ulteriormente. I giorni a seguire saranno molto noiosi perché sono di un’attesa che si prolunga di mattina in pomeriggio e di giorno in giorno per trovare il momento giusto di muoversi verso la cima. E’ necessario conciliare le previsioni meteo con i movimenti delle altre spedizioni. Infatti il c2, in particolare, è appollaiato su un picco roccioso alla base della “yellow tower”. Qui è possibile sistemare pochissime tende nelle quali è necessario avvicendarsi con un minimo di coordinamento tra i vari gruppi impegnati nella salita. Nel frattempo giungono al campo i 4 italiani che faranno parte della spedizione. La sera al campo si chiacchiera, si ride e si gioca a carte…le ore di attesa passano più veloci e liete. Attendiamo il momento propizio per 4 lunghissime e noiosissime giornate di inattività. Finalmente arriva il momento di agire. Il 25 novembre dopo la colazione al campo, riassetto lo zaino per lo più già pronto da giorni. Sono circa le 10 di mattina quando, da solo, mi incammino lasciandomi alle spalle le tende del campo base. A distanza di una mezzora mi seguiranno Rami, il ragazzo libanese, Pemba e Dawa, i due sherpa che accompagnano me e Rami. Lo zaino è piuttosto pesante, cerco di tenere un ritmo blando ed una respirazione regolare per risparmiare energie che torneranno utili nei prossimi giorni. La salita al c1 mi impegna almeno 4-5 ore. Durante la salita incontro il gruppo di 4 italiani che ridiscendono al cb. Erano saliti ieri mattina con l’intento di raggiungere oggi il c2 ma mi raccontano di essere stati poco bene già a c1, di aver passato una notte tremenda a causa del mal di montagna per cui stamani hanno saggiamente deciso di scendere e riposare al Campo Base. Raggiungo il c1 molto stanco, vorrei buttarmi dentro la tenda ma devo aspettare che chi la occupa finisca di preparare il proprio zaino per ridiscendere al campo base. Infatti sia al c1 che al c2, gli spazi per montare le tende sono molto limitati ed esse vengono usate a turno dai vari alpinisti. Mi siedo su un masso ed aspetto fin quando mi indicano la tenda libera. Scopro che dormirò sopra dei massi poco “ortopedici” e nonostante i due materassini, passare 12 ore steso su quelle asperità non giova alla mia schiena ed al riposo. Nonostante la nottataccia dobbiamo muoverci e dopo una veloce colazione con the e corn flakes ci dirigiamo verso c2. Non abbiamo fatto trasporti di attrezzatura nei giorni precedenti per cui ci carichiamo tutto sullo zaino. Muoversi a circa 6000 mt con uno zaino tra i 16 e 18 kg su un’affilata cresta di roccia con diversi passi di arrampicata (anche se tecnicamente non difficilissimi) diventa piuttosto impegnativo. Fortuna che nei tratti più impegnativi ci sono le corde fisse a dare un po’ di sicurezza. In compenso l’ambiente che ci circonda è maestoso ed è meraviglioso essere qui. Raggiungiamo il c2 a fine mattinata. Il campo è posizionato su di un picco di roccia e ghiaccio in un punto estremamente panoramico. Essere qui regala delle emozioni grandissime. Il campo, visto da lontano, sembra il nido di un condor, c’è spazio per non più di 8/9 tende. Adesso abbiamo diverse ore per riposare e idratarci. Purtroppo io accuso un po’ di stanchezza verso il tipo di cibo a disposizione. E’ nepalese, quindi molto speziato. In alta quota è normale per molte persone cambiare la preferenza dei sapori, non è detto che quello che ti piace di solito ti piaccia anche a 6000 metri. Il mio stomaco si rifiuta proprio e così finisco col non mangiare niente per tutto il giorno. A mezzanotte e trenta del 27 novembre ci svegliamo ed iniziamo a prepararci per la salita. E’ una splendida notte, chiara, serena, non c’è vento, miliardi di stelle punteggiano il cielo buio. Cerco di ingoiare qualcosa almeno per colazione ma dopo pochi minuti devo correre fuori dalla tenda…mi devo rassegnare allo stomaco vuoto. Sono le due del mattino quando siamo pronti a muoverci. Mi rendo subito conto di sentirmi vuoto di energia. Faccio una fatica enorme. La salita è piuttosto sostenuta e fisica. Mi muovo nel ristretto cono di luce della lampada frontale, non vedo il vuoto e l’abisso che mi circonda ma lo percepisco. Mi sento inebriato dalla possibilità di arrivare in cima. Mi sento molto stanco, stanchissimo ma non voglio cedere. I tiri sulle corde fisse si susseguono, uno dietro l’altro…infiniti. Ormai è giorno, inseguiamo la linea che divide l’ombra dalla luce che corre davanti a noi. Ogni tanto mi giro indietro ma non vedo altre cordate che salgono…strano! mi dico, eppure la giornata è perfetta. Meglio così troppo traffico sulle corde aumenta il rischio di incidenti. Finalmente la verticalità della parete si abbatte e con un ultimo pendio più dolce arriviamo alla vetta. Rami e Dawa ridiscendono subito per il freddo mentre io e Pemba ci fermiamo a scattare foto e fare filmati. Sono felicissimo. Ho davanti a me uno spettacolo straordinario, un panorama che spazia su una buona parte della catena Himalayana. Vedo davanti a me L’Everest e rivado con la memoria al 20 maggio 2017…ero li…proprio su quella punta. E’ indescrivibile l’emozione che scorre dentro. Dopo quasi un’ora iniziamo la discesa. Una infinita serie di doppie, in cui bisogna stare attenti a scegliere la corda giusta tra tutte quelle ancora lì da anni, a volte le corde nelle soste formano dei grovigli da non credere. A differenza di stanotte durante la salita, ora c’è luce e si vede benissimo ed alcune soste fanno veramente paura. Diverse hanno un solo punto di assicurazione su un solo vecchio chiodo da fessura, brrrrr!!!! Arrivati nuovamente al c2, raccogliamo tutte le nostre cose e scendiamo a c1. Qui trovo gli italiani che sono risaliti per completare l’acclimatamento. Li saluto perché io domani mattina lascerò il campo e non avremo più occasione di incontrarci. La discesa è ancora lunga, estenuante e la stanchezza inizia a farsi sentire. Quasi tutti al rientro passano una notte a riposare a c2 o c1 ma io ho deciso che stanotte dormirò nella comoda tenda del cb, così vado avanti finché non arrivo giù. Al campo ci accolgono con grandi festeggiamenti ed una deliziosa cena che alla fine prevede anche una torta…che dire…esperienza fantastica!! Trascorriamo una serata allegra e serena. Domani e dopodomani mi aspettano 45 km di marcia per tornare verso valle. Dopo quasi 40 giorni ho molta voglia di tornare a casa ma sento anche una certa malinconia nel lasciare un luogo che è stata la mia casa per lunghissimi giorni. L’alta montagna mi ha stregato da tempo con la sua essenzialità, con le sue lezioni di umiltàà e di autenticitàà, la perfezione…quella stessa che l’uomo insegue e mai raggiunge. Molte persone credono, andando in montagna, di diventare persone migliori, di crescere, di tornare arricchiti…in realtà secondo me la montagna “toglie”, “impoverisce”. Toglie le maschere, le sovrastrutture che negli anni abbiamo preso l’abitudine di indossare per affrontare il mondo. Spesso senza renderci conto che in questo modo perdiamo ogni giorno un poco della nostra autenticitàà e ci allontaniamo dal nostro centro, dalla nostra essenza creando una forbice sempre più ampia fra ciò che siamo veramente e ciò che dobbiamo apparire, finendo per velare il nostro sguardo di una profonda infelicitàà. Penso che se vogliamo stare bene ed essere felici dobbiamo compiere uno sforzo di autenticità, avvicinarci al nostro centro, alla nostra vera essenza. So che sentirò forte la sua mancanza ma so anche che tornerò presto…arrivederci Himalaya!!!

La spedizione al Pumori si è ufficialmente chiusa ieri. Non c'erano più le condizioni per continuare senza sottoporsi a rischi enormi . Ieri mattina mentre I miei compagni di spedizione (5 sloveni), lasciavano il campo base io salivo al campo 2 per vedere...se proprio non si trovava una soluzione, ben sapendo che ormai sarebbe apparsa disperata visto che ero rimasto solo. Nella risalita del lungo canale che porta ai 6200 del campo 2, io e Pemba siamo stati bersagliati da scariche di pietre e blocchi di ghiaccio, alcuni più grandi del frigorifero che ho in casa.

Arrivati al campo 2 sopra di noi enormi e minacciosi seracchi È stato molto molto difficile ammettere che non avevo soluzioni e decidere di abbandonare il campo. Coloro che mi stanno vicino sanno quanti sacrifici e quanto tempo sono necessari per preparare un simile obiettivo. Mentre inizio la discesa ho gli occhi umidi, è il vento gelato dei 6000 mt. Razionalmente so di aver preso la giusta decisione, ma il cuore è molto offeso. Del resto la Montagna insegna, quando dà e forse ancor di più quando nega.

Ho vissuto una bella esperienza, ho riempito gli occhi ed il cuore di immagini ed emozioni che resteranno impresse per sempre nella memoria.

Ringrazio infinitamente tutti coloro che mi hanno seguito e fatto il tifo, chi mi è sempre vicino e chi mi ha anche solo pensato un momento.

Ringrazio in particolare:

Fabio Pinna della BeFit di Nuoro per l'eccellente lavoro nella mia preparazione atletica.

L'Istituto di Fisiologia Umana dell'Università di Cagliari che mi segue dal punto di vista medico con professionalità e pazienza.

SEMINO di Cagliari, maestri nella preparazione di piatti gustosi, sani e abbondanti, alcuni dei loro ingredienti hanno accompagnato il mio viaggio.

Il Club Alpino di Cagliari per avermi accolto a braccia aperte.

Paolo Merlini, giornalista, per la costante attenzione alle mie spedizioni.

Carlo Alberto Melis, giornalista, che pur lontano trova modo di darmi spazio.

Voglio dedicare un pensiero di profonda gratitudine ad alcune persone che mi stanno a fianco nella vita e che senza apparire mi sostengono più di qualsiasi altra, semplicemente, senza avere niente in cambio anzi a volte pagando anche un prezzo. Sono loro che più di tutti hanno contribuito al mio progetto...con una parola buona al momento giusto, con un sorriso, con una pacca sulla spalla o con un solo amorevole sguardo: i miei genitori che ci hanno messo la materia prima, Domenico Ruiu che mi ha da sempre accolto sotto la sua ala (non a caso) protettiva fino a diventare per me più di un fratello maggiore, Grazia che condivide le mie giornate tra alti e bassi ed i miei umori senza mai farmi pesare le rinunce che è costretta a subire per causa mia. Marco che mi parla solo con gli occhi e mi trasmette una forza esagerata. Martina Allison che mi sostiene col cuore, persone speciali che non ringrazierò mai abbastanza per la loro vicinanza e affetto. A loro posso solo dire GRAZIE

Avendo appena appreso la terribile notizia della tragedia che ha coinvolto una spedizione di alpinisti in Nepal, vogliamo rassicurarvi sul fatto che Angelo non è in alcun modo coinvolto nell'evento in cui hanno perso la vita 5 alpinisti coreani e 4 nepalesi e che ha avuto luogo al campo base del Monte Gurja, nel Nepal occidentale, dalla parte opposta dove si trova Angelo. Lo abbiamo sentito al telefono stamattina, stava bene ed in forma ed era tra il Campo base e Gorakshep. Non ha fatto cenno alla tragedia di cui molto probabilmente non era al corrente.

La notizia ci ha profondamente scossi e addolorati per la perdita di tante vite umane. Il nostro pensiero va alle vittime di questa enorme tragedia e ci spinge ancor di più a concentrare tutte le nostre energie nel sostenere moralmente Angelo in questo momento che lo vede impegnato in un'impresa meravigliosa, ardua e non scevra di pericoli. Siamo fiduciosi e speriamo che il tempo sia clemente e lo aiuti in questa grande avventura.

Dopo il trekking di 8 giorni, il 10 ottobre Angelo è arrivato al Campo base, da solo. Il gruppo di alpinisti sloveni con il quale farà squadra è rimasto un pochino indietro perché uno di loro è stato male e sono dovuti ridiscendere ad un villaggio più in basso per fargli recuperare energie e stato di salute. Dopo un giorno di riposo Angelo e Pemba hanno portato il materiale al campo 1 e sono ridiscesi al Campo base. Domani pomeriggio saliranno al campo 1 ed i giorni seguenti saranno tutti impegnati a mettere le corde fisse che serviranno per la salita in vetta al Pumori. Sperano di riuscire a montare le corde sino al Campo 3. Quindi scenderanno al campo 1 per riposare qualche giorno. Dopo il recupero attenderanno una auspicata finestra di tempo favorevole per tentare la salita.

Ad oggi Il tempo è buono anche se il vento è molto forte e le temperature sono molto basse.

Stay tuned everybody ;-)

Forza Angelo, Siamo tutti con te!

Siamo arrivati al campo base due giorni fa. Il tempo è buono. Ieri abbiamo fatto un trasporto di materiale, corde, tende, gas, fornello etc, al campo 1. Sistemata la tenda siamo ridiscesi al campo base piuttosto stanchi. Oggi e domani sicuramente riposo a goderci la meraviglia che ci circonda. A presto per gli aggiornamenti.

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